Al piano superiore, la luce del corridoio si accese, rimase fissa e poi tornò al buio. Lei si strinse le mani. “Ho chiamato il centralino” Lui annuì bruscamente, come se nominare un disturbo lo curasse. Ripresero a sorseggiare il tè a voce più alta, cercando di farsi coraggio. Dalla sua auto, Marco sorrise, programmando un altro debole sospiro di porte che si aprivano e poi si chiudevano.
La gatta si mise a sgattaiolare sul bancone, con la coda in fuori. Sibilò una volta, poi sparì nell’ombra. “Gli animali percepiscono le tempeste”, sussurrò la zia, inquieta. “O i topi”, replicò lui, anche se i suoi occhi seguivano l’oscurità con disagio. L’arroganza si scontrava con i nervi primordiali. Marco si accodò allo stereo: un leggero fruscio, come di borse che si spostano al piano di sotto.