Evan veniva ancora, ma qualcosa era cambiato. Si fermava con una tazza di caffè di carta, la posava sul comodino e scorreva il telefono mentre lei parlava. A volte si dimenticava di alzare lo sguardo quando lei gli faceva una domanda. Una volta, quando lei allungò la mano, lui non se ne accorse nemmeno: il pollice continuava a muoversi, digitando un messaggio che lei non poteva vedere.
“Lavori ancora?”, chiese lei con dolcezza. “Sempre”, rispose lui, senza alzare lo sguardo. Quando finalmente incontrò i suoi occhi, ci fu un guizzo di colpa, ma nessuna scusa. Solo stanchezza e qualcos’altro a cui non sapeva dare un nome. La distanza. Una sera, dopo il trattamento, lui arrivò in ritardo. La sua camicia era stropicciata, la cravatta non c’era, la sua colonia era più acuta del solito, un profumo che lei non riconosceva.